Non esiste capo più utilizzato e più iconico di una T-shirt.
Conosciuta universalmente a qualsiasi latitudine, la maglietta è passata da semplice capo da lavoro a status symbol, riportando grafiche o messaggi che spesso rappresentano una vera e propria dichiarazione di intenti.
Le T-shirt che hanno fatto la storia vedono una carrellata di magliette indossate e lanciate da personaggi famosi.
Quanto alle case di moda, se ne sono sempre servite: dalla T-shirt in stile marinaro di Jean Paul Gaultier, a quella con gli angioletti di Fiorucci, passando per l’amante delle T-shirt Giorgio Armani, sino a Calvin Klein, Dior, Chanel, Lacoste e innumerevoli altri.
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L’origine della T-shirt
Anche se più fonti riportano che la maglietta che prende il nome dalla lettera T abbia un’origine militare, in realtà la T-shirt è più da ricondursi all’underwear maschile.
Agli inizi del ‘900 gli operai indossavano sotto la giacca da lavoro una maglietta bianca a maniche corte, e sarebbe dunque da qui che è nata la T-shirt.
Il cinema è stato il settore che più ha sdoganato la maglietta: star del calibro di Marlon Brando e James Dean, tormentati e affascinanti, hanno lanciato il capo nell’orbita della moda maschile, associandolo anche a un’idea di gioventù.
La T-shirt era infatti un capo prettamente giovanile, che controvertiva i canoni stilistici di un vestiario formale e ingessato, come quello delle generazioni precedenti agli anni ’50.
Sempre in ambito filmico, ma al femminile, la T-shirt venne sdoganata da Jane Birkin in “Je t’aime moi non plus”, e prima ancora da Jane Seberg in “Fino all’ultimo respiro”, connotandola in maniera trasgressiva e inaspettatamente sexy.
Sia sul grande schermo che in altri campi, la scelta è caduta più frequentemente sulla t-shirt bianca, senza graffismi o scritte, tanto semplice quanto pregna di charme, al punto da oscurare qualsiasi altro capo abbinato ad essa.
Ancora oggi, indossare una semplice t-shirt bianca su un paio di jeans, di pantaloni o qualsiasi altro vestito, è considerato segno di minimalismo, sobrietà e classe che non ha bisogno di fronzoli.
Le t-shirt nel mondo della musica
Negli anni ’70 il movimento punk stravolse la musica e l’estetica, proponendo T-shirt strappate con slogan forti e anticonformisti.
L’artefice del vestiario del gruppo di punta del punk, i Sex Pistols, era Vivienne Westwood: nessuno prima di lei avrebbe pensato di poter volutamente indossare una t-shirt strappata e sdrucita, e questa sensazionale intuizione segnò l’inizio della sua fulgida carriera da stilista.
Inoltre le magliette riportavano frasi controverse che si opponevano al sistema sociale e alla monarchia britannica, incitando ad utilizzare la T-shirt come dichiarazione di ribellione e come provocazione.
Nel decennio successivo, la T-shirt torna intatta e inamidata, indossata sui jeans da milioni di teenagers soprattutto grazie a una giovane Madonna, la quale la riproporrà anche alla fine degli anni ’90 in una versione più country.
Inaspettatamente leggendarie
Nella lista di T-shirt che hanno fatto la storia, non mancano casi sui quali nessuno avrebbe scommesso.
La maglietta del Hard Rock Café per esempio è ormai divenuta una sorta di capo feticcio e un souvenir da comprare in qualsiasi parte del mondo si viaggi.
Sulla stessa scia la T-shirt “I Love NY”, ideata nel 1977.
Quella con la leggendaria lingua dei Rolling Stones (il logo si rifà alla lingua di Mick Jagger) è simbolo della cultura rock, mentre quella con la faccia di Che Guevara una dichiarazione politica.
Non mancano poi le T-shirt amatissime dai nerd e amanti di videogiochi o del cinema, prima fra tutte quella col logo della saga di Star Wars.
Le t-shirt: simbolo di globalizzazione
La T-shirt è un capo pop e un simbolo vero e proprio della globalizzazione.
La sua alta possibilità di personalizzazione la rende ideale per veicolare qualsiasi tipo di messaggio più di ogni altro capo di vestiario: la T-shirt è perciò diventata piattaforma comunicativa, un foglio sul quale vengono stampate delle parole che possono racchiudere un manifesto o dichiarazione di identità.